Nel 1988, i Judas Priest pubblicarono “Ram It Down”, un album che segna un netto cambio di rotta rispetto al controverso “Turbo” del 1986. Mentre “Turbo” aveva abbracciato sonorità hair metal con abbondanza di sintetizzatori, “Ram It Down” rappresenta un ritorno alle radici metal della band, pur mantenendo qualche eco delle melodie orecchiabili del predecessore.

L’album inizia con la potente title track “Ram It Down”, uno speed metal che ricorda l’energia di “Defenders Of The Faith”. Segue “Heavy Metal”, che, pur non eguagliando l’impatto della traccia di apertura, riesce comunque a coinvolgere. “Love Zone” evoca atmosfere glam, ma il suo ritornello trascinante la rende memorabile. “Come And Get It” riporta alle sonorità di “Point Of Entry”, mostrando l’indecisione della band sulla direzione da prendere.

Una delle sorprese dell’album è “Hard As Iron”, con un Dave Holland scatenato alla batteria, anticipando il sound di “Painkiller”. “Blood Red Skies” utilizza sintetizzatori per creare un’atmosfera opprimente di un futuro dominato dalle macchine, con una performance vocale eccezionale di Rob Halford. “I’m A Rocker” è un inno da stadio irresistibile, mentre la cover di “Johnny B. Goode” e “Love You To Death” sono meno memorabili. “Monsters Of Rock” chiude l’album con un monolite di metallo possente e apocalittico.

In sintesi, “Ram It Down” è un album di transizione che riflette le incertezze della band nel trovare una nuova direzione dopo “Turbo”. Nonostante la varietà di stili, la qualità dei brani rimane alta, aprendo la strada al successivo capolavoro “Painkiller”.

VOTO AL DISCO: 8/10

Di Chiara

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